Operare oltre il confine delle pratiche note è attività connaturata vitale ed essenziale al lavoro del ricercatore. Un’attività che richiede una doppia capacità di visione e innovazione: l’una mirata ad individuare gli ambiti da innovare; l’altra volta a concepire nuovi strumenti e metodologie per poterli indagare. Da ormai 50 anni l’ausilio digitale si è via via diffuso in ogni ambito scientifico, declinandosi in molteplici strumenti che potremmo definire oggi di “uso comune”. A ben guardare, chi sviluppa detti strumenti sembra abbia sempre avuto la consapevolezza che questi fossero insufficienti, non completamente idonei a coprire ogni esigenza. All’interno di essi, infatti, è sempre stata presente una porta aperta verso la personalizzazione verticale, ossia lo sviluppo di soluzioni dedicate per andare oltre l’operare comune. Questa fantastica libertà non è mai stata – e non lo è ancora oggi – pienamente compresa dalla moltitudine degli utenti che, invece di comprendere lo spazio di libertà operativa offerta da questa opportunità, tendenzialmente hanno interpretato la personalizzazione degli strumenti digitali per mezzo di sviluppo del software, come un’attività destinata solo a utenti esperti e di carattere prettamente tecnico.
La crescente alfabetizzazione informatica e del sapere digitale, rende ogni giorno più accessibile ad una moltitudine di ricercatori “particolarmente curiosi” le potenzialità di sviluppo del software. Su questo percorso un grande aiuto è giunto dalla programmazione visuale che rende possibile risolvere problemi per via informatica operando al livello di definizione della soluzione algoritmica del problema, senza scendere nella complessità sintattica e grammaticale, caratteristica dei linguaggi di programmazione.
La programmazione a blocchi è così entrata solo recentemente a pieno titolo negli spazi creativi dei nostri saper disciplinari, avvicinando le pratiche di coding a qualcosa di più simile ai linguaggi di modellazione a cui siamo più naturalmente predisposti; la manipolazione dei blocchi ha effetti immediati sulla generazione della forma e offre versatili potenzialità di accesso a tutti. Si tratta di un “learning by doing” o gioco formativo che può liberare infinite forme di approfondimento dell’esistente come di prefigurazione o simulazione di futuro sempre differenti e declinate caso per caso, in totale libertà concettuale.
Per questa ragione la Call for Paper cui è stato dedicato questo numero ha voluto indagare i concetti di “space grammar & procedural modelling” dedicate al progetto del nuovo e al rilievo dell’esistente. I contributi selezionati, sono per noi significativamente rappresentativi di idee originali, sperimentazioni e applicazioni reali alle diverse scale, da quella piccola del disegno industriale a quella grande dell’analisi e del progetto urbano, che forniscono nelle loro insieme utili indicazioni sullo stato dell’arte e sulla creatività nella costruzione di modelli complessi, per mezzo di procedure personalizzate di elaborazione digitale.
Procedure che nella loro condivisione possono aprire altre strade ad altre metodologie generative, in un moltiplicarsi di forme ed esperimenti sempre nuovi e sempre più interessanti.
È augurio di chi scrive che sia possibile dedicare con ricorrenza un numero della rivista Dn a questo tema, nella piena convinzione che proprio dalle soluzioni alle singolari esigenze, sia possibile innovare significativamente metodologie e strumenti di lavoro nella ricerca e – in questo specifico – nel progetto del nuovo e nel rilievo dell’esistente alle diverse scale.
C. Bolognesi, G.M. Valenti